……….
Soave sussurro di costruzione di morte gioiosa
by karin hoferSerena costruzione di morte
Non comprendi?
Dopo aver passato
L’infanzia
Adolescenza
L’adulto nel esser genitore
Dopo aver interrotto e serenamente lasciato quel bagaglio dove deve essere
Nella passata costruzione di una vita
Oggi
Alle soglie d’un avventura
La più eccitante
La più intrigante
Dacché tutto maturo nel corpo e nello spirito
Dacché Oggi
Alle soglie dei cinquant’anni
Inizia la costruzione serena della morte
(…)
……
Dopo l’influenza di qualche settimana fa il mio fisico non si è ancora ripreso. Ghiandole linfatiche gonfie, mal di testa e dolori vari. Qualche analisi medica qualche medicina e fra qualche giorno tutto sarà passato di nuovo.
Ma è da questa mattina che, a seguito di un nuovo piccolo peggioramento, mi frullano per la testa strani pensieri. Come se non bastasse mi imbatto nel blog della mia carissima amica Karin che giusto ieri ha pubblicato la poesia che trovate qui – dietro mia cortese richiesta e sua gentile concessione. La versione integrale (e molto di più) la troverete nel suo blog.
Ordunque oggi riflettevo che se mi trovassi nella situazione di dover lottare un giorno per qualche malattia importante, lotterei, senza dubbio con tutte le mie forze.
Ma se mi dovessi trovare a perdere diverse battaglie e ad arrivare al punto di non ritorno, di non guarigione, certo davvero difficile da individuare e questo credetemi sulla parola, lo so bene … ma comunque se riuscissi a capire che tutto è perduto, vorrei avere la forza di chiudere così da sola questa vita. Senza dover protrarre le sofferenze mie o peggio ancora di chi mi sta vicino.
Un amico oggi mi ha detto “Vorrei diventare concime da solo”. Quante coincidenze in questa giornata.
Che forse abbia ragione Karin?
Alle soglie dei cinquantanni inizia la costruzione serena della morte. Lei a telefono mi dice: “E’ una visione positiva.”
Io le credo. Averne la forza.
5 novembre 2010 at 12:11 am
No, no e non davvero da solo.
Il cervello del uomo è fatto per confrontarsi, nell’assenza di stimoli muore.
La costruzione di una morte serena è cosa d’amore verso la vita.
Metto a frutto quel che ho imparato. Metto a nudo tutta la gamma delle emozioni. Se risultano esser pochi imparerò che ce ne stanno molte di più. Mettersi in giuoco e andare oltre la soglia. Gustare la carne del altro . Gustare la sua differenza. Affermare “il proprio” sempre aperto al contradditorio. Aperti al differente quando supportato da ragionevole logica e da autentica emozione. Nessuna riserva mentale. Nessun paracadute non fosse la consapevolezza che con l’altro e con lo studio di cose sconosciute non posso farmi male.
Se non è questo un autentica occasione di vita vissuta a pieno, lasciarsi nella piena maturità la libertà di scoprire, di fare “apparentemente” errori, di metter in campo tutta l’esperienza accumulata, di preservare l’altro, in piena consapevolezza delle differenze che porta con se ogni anno che passa… beh, allora non so cosa è quel irrinunciabile, irresistibile gusto di vita.
Il pensiero è quello di non finire mai… con l’amare. Di conseguenza nutrire la innata curiosità sulle differenze degli innumerevoli forme mentali che popolano la terra. Sperimentare i comportamenti e linguaggi sul proprio corpo e sulla propria mente.
Ci vuole molta pazienza e una buona dose di……. ma cosa ci vorrà?
5 novembre 2010 at 9:39 am
Ci vorrà una buona dose di salute.
Per vivere una seconda vita, quella supportata da una ragionevole consapevolezza, dobbiamo impossessarci di altri 40 anni di vita.
Poi dovemmo liberarci delle paure, delle sconfitte che ci segano le spalle tanto sono state pesanti, per aprirci e predisporci infine ad un totale cambio di abiti … Solo ripartendo da zero, e riytovandosi nuovamente nudi sulla linea di partenza potremmo scoprire, se saremo in grado di affrontare “una nuova avventura/ la più eccitante / la più intrigante” : andare incontro alla morte con un soave sussurro di gioia.
5 novembre 2010 at 5:31 am
CIAO GIUSEPPE,POSSO DARTI DEL TU?SONO LE QUATTRO,,E DIECI DEL MATTINO,MI SONO SVEGLIATA,E STORDITA,HO DECISO DI NAVIGARE DARE UNO SGUARDO ATTRAVERSO LA FINESTRA
DI VARI BLOOG,ATTRATTA SEMPRE DALLA SCRITTURA,PIU’CHE DALL’IMMAGINE,E COSI’HO APPRODATO SULLA TUA ISOLA,HO LEGATO LA CIMA AD UNA BITTA
E MI SONO INOLTRATA NEL TUO SITO.PUR NON SAPENDO NIENTE,USANDO SOLO LA MIA CURIOSITA’CLICCANDO SULLA TUA FOTO,HO SCOPERTO IL TUO IMPEGNO CULTURALE,FRUTTO DELLA TUA INTELLIGENZA.NON E’ UNA SVIOLINATA
CREDIMI.E’RARO DI QUESTI TEMPI,SENTIRE IL RUMORE DELLA MENTE.IN QUESTI GIORNI MI SENTO A PEZZI,MA SICCOME NON AMO FARE LA PRINCIPESSA SUL PISELLO,CON LE MIE GAMBE GIACOMO GIACOMO,MI SON MESSA A
CURIOSARE.CARO GIUSEPPE,SPERO CHE QUESTO MIO COMMENTO,SIA DA TE GRADITO,RITORNERO’PER ORA TI AUGURO UNA SERENA GIORNATA.TUA AMICA DEL MURETTO,GINA.
5 novembre 2010 at 9:41 am
… non mi resta che sperare che “Giuseppe” passi di qui: teniamo legata la cima alla bitta e vediamo! 🙂
5 novembre 2010 at 5:10 pm
Si, per prima tenere corpo e mente sani, capaci di reazione. Non abbiamo un altro strumento per sperimentare vita.
Per me puoi impossessarti anche di 80 anni. Sarei ottimista e penserei al tempo degli Elfi, dunque penserei di non darmi un limite. A cosa serve darselo? Il peggio della morte non è riservato a se steso. Son quelli che rimangono che devono ricompensare la cosa mancata. Per loro è duro e durissimo. Per me significa unicamente.. e : Accidenti! … non poter finire quel che volevo portare avanti. Nessun dolore.
Si Cara! Nel recinto le paure! Le sconfitte… bisogna cominciare a riderci sopra, sempre che il tempo del dolore, della rabbia, della tristezza sono state di una giusto lunghezza.
Ecco, pensare in avanti, si, con la scienza in mano. Fatti inconfutabili che ci raccontano come siamo per davvero e non come qualcuno ci vuole o immagina. Tutti giorni con l’amato sulla bocca perché ora non c’è più posto per atteggiamenti ora vogliamo il sodo, la cruda roccia, il caldo e il freddo, il sole pieno e la notte stellata e buissima.
Sbucciare e render nitido il pensiero. Render il sentimento cosi autentico che lo sguardo è sufficiente alla comunicazione. Perdersi in mille rivoli d’intimità mai sperimentata come due adolescenti in cerca del domani. Utilizzare la forma per render meno acre certe stonature. Senza perdersi in formalismi.
Andare oltre la morte, dimenticandola, perché non ha importanza rimanendo impegnati in sussurri i gioia.
6 novembre 2010 at 12:22 pm
Ho pensato per un attimo che nella tua risposta ci fosse un refuso: “Ecco, pensare in avanti, sì con la scienza in mano” … mi son detta forse avrà voluto scrivere “…con la coscienza in mano”:
Tranquilla mi son subito ripresa. Sei la mia Karin e certamente era la SCIENZA che volevi avere fra le tue dita! 🙂
Però, per quanto assapori con cupidigia le tue parole, “tutti i giorni con l’amato sulla bocca…” mi ritrovo sempre a sbattere contro la mia COSCIENZA e le voci di coloro che mi circondano e non riesco a non frenare.
Forse il che il tempo del dolore non siano ancora della giusta lunghezza?
24 novembre 2010 at 7:12 pm
Forse.
Però anche con il freno tirato si può avanzare, se l’acceleratore spinge abbastanza. Non è il massimo dell’efficienza, ma di sicuro non te ne stai lì ferma, in attesa del massimo assoluto e della perfetta efficienza: ti vivi il massimo relativo e mi sa che ci stai dentro piuttosto bene. Dolore a parte.
24 novembre 2010 at 7:34 pm
Ammoooreee come fai a sapere che Sol’ si vive il “massimo relativo”?
O meglio: esiste un massimo assoluto nella vita?
24 novembre 2010 at 7:39 pm
Frequento il suo blog. Ecco come lo so.
My Darling, vedi che ci capiamo al volo: il massimo assoluto cos’è? Non vale la pena di fermarsi ad attenderlo.
25 novembre 2010 at 1:46 pm
Evvabè, adesso si amoreggia anche nel blog di Solindue… ‘nnagg… !!!
Senza più ritegno, anzi, dippiù, dippiù… 😆
5 novembre 2010 at 5:16 pm
per quanto abbia una fottuta paura di morire so perfettamente cosa fare in caso di “battaglia persa”: stare da sola. Lavorando in ospedale vedo tutti i giorni la tristezza e la forza negli occhi di chi segue un malato amato ed ogni volta penso a quante vite si rompono per questo.
io starei sola, per altruismo.ecco. poi ognuno la vede come meglio crede, io non ho la legge assoluta
5 novembre 2010 at 9:17 pm
cara farnocchia, come condivido la tua opinione!
la malattia e la morte sono brutte, anche io vorrei stare da sola e lasciare che gli altri ricordino com’ero prima di perdere la battaglia.
6 novembre 2010 at 12:31 pm
Tutti noi staremmo soli. Ma tecnicamente immagino sia impossibile, almeno se si ha una famiglia o dei figli. Come glielo spieghi? e come pensi che loro possano accettare di lasciarvi sole?
E voi lasciareste solo qualcuno della vostra famiglia in una situazione del genere?
6 novembre 2010 at 5:18 pm
se mi venisse chiesto sì.
ti assicuro che c’è chi cambia paese per non essere seguito dalla famiglia..te lo dico perchè ho una paziente che ha fatto di questo per non farsi vedere (e veder soffrire) dai figli
6 novembre 2010 at 7:51 pm
Se mi venisse chiesto risponderei … NON ESISTE PROPRIO
5 novembre 2010 at 10:50 pm
Ragazza, certi pensieri li abbiamo tutti. Io per prima penso che non vorrei far soffrire nessuno per accudirmi nel caso stessi veramente male,ma… Ma a cosa servono una famiglia e gli amici se non ti stanno vicino quando hai bisogno? Non si è sposi, figli e amici solo nella buona sorte,ma sopratutto nella cattiva. L’unica cosa della quale ho veramente paura e di stare male e di trovarmi vicino persone che NON abbiano la grinta per aiutarmi e farmi star su di morale, che mi lascino sprofondare in un mare di pensieri autodistruttivi. Dice bene Farnocchia, negli occhi di chi assiste legge la tristezza e la FORZA, un dolore che lacera l’anima e amore immenso, dico io. Il tg regionale, tempo fa, ha raccontato di questa ragazza che ha discusso la tesi di laurea,l’hanno accompagnata il papà,la mamma nella barella con tutti i suoi tubicini, e i volontari del soccorso che guidavano l’ambulanza. La mamma ha la sla. Quella è una famiglia, quello è il mio modo di intendere la famiglia. Uno per tutti, tutti per uno, fino alla fine. Se poi la questione è tirarla per le lunghe senza alcuna speranza tipo Eluana, è un’altra faccenda. Nel caso non lascerei decidere agli altri, quello non è vivere e non è giusto per nessuno,ma sono sempre opinioni, ognuno può e deve decidere per se.
6 novembre 2010 at 12:53 pm
La forza dell’amore si vede certamente nei periodi neri. La famiglia che tu descrivi sprigiona evidentemente una forza ed una energia da manuale.
E’ tutto molto bello, ma serve per un telegiornale.
Ho vissuto in una di quelle meravigliose famiglie per quasi cinque anni. Ma non come spettatrice, come uno dei due protagonisti: quello sano.
So cosa significhi sopravvivere ad una tale esperienza. Credimi no se ne esce più.
Dunque, come dice Farnocchia … bisognerebbe avere la forza di tirare fuori un po’ di ALTRUISMO.
6 novembre 2010 at 11:11 pm
Lo credo, lo temo, ma non fa niente. Se s’abbandonasse la persona amata quando ha più bisogno, forse il dopo sarebbe anche peggio,penso. Ho conosciuto 2 blogger col cancro, entrambe traggono una forza immensa dai loro affetti e provano a darne anche agli altri. Non è solo la persona che cura che dà,ma anche il malato può dar tanto, non va dimenticato. Non vorrei morire da sola e forse farei un timido tentativo d’allontanare,ma con la speranza che restassero.
6 novembre 2010 at 11:24 pm
Non vi è dubbio cara Luisa che da un’esperienza del genere si da e si riceve – senza chiedere -un’incredibile immensità di sentimenti e di forza.
Non penso esista una soluzione, sono situazioni pazzesche che non si possono che vivere giornalmente. Non a caso ho premesso la difficoltà di poter prendere ogni decisione a mente lucida. Troppo semplice è parlarne in un blog, comodamente suduti su un divano!
Un abbraccio stretto.
6 novembre 2010 at 1:23 pm
Non siamo nati per restare da soli ed è proprio nei momenti più bui della nostra vita che cerchiamo l’appoggio di chi ci sta vicino, consapevoli ma anche senza alcuna consapevolezza,
Non sono d’accordo sulla questione “altruismo”, perché significherebbe dire che il dolore appartiene soltanto a noi e invece non è così, perché in una qual misura, coinvolge le persone che ci stanno vicine, che noi amiamo e che ci amano.
E questo coinvolgimento fa sì che il “bisogno” si viva come una risorsa da superare, perché dentro c’è racchiusa la voglia di credere che l’oggi e il domani non siano l’esatta conseguenza di ciò che, per una sorte avversa, condiziona un futuro diverso da quello che ci eravamo configurati.
Insomma, in parole povere, la perdita di una persona cara, lascia sempre dentro di ognuno di noi un vuoto che non sempre è possibile colmare.
Non vorrei essere da solo, come non vorrei mai che la persona che amo, non senta il calore del mio amore, anche con la devozione, perché no, perché ripeto, non siamo nati per stare da soli, in fondo anche i vecchi indiani, quando andavano a morire, stavano in preghiera, con il loro Dio.
6 novembre 2010 at 7:58 pm
Temo in qualche modo tu abbia ragione. Nei momenti bui cerchiamo l’appoggio di chi ci sta vicino, cerchiamo conforto, perchè siamo impauriti. Non a caso il mio articolo termina con “Averne la forza” … di agire diversamente.
7 novembre 2010 at 2:25 am
“… cerchiamo conforto perché siamo impauriti…” in fondo, si spera di trovare in loro la consapevolezza di una speranza che abbiamo perso.
‘notte!
7 novembre 2010 at 4:51 am
Io sono uno dalla lacrima facile, ebbene si, in genere mi commuovo facilmente, per le motivazioni più variegate, ma, stranamente alla morte non ho mai concesso soddisfazione, nessuna lacrima mai, come se fossi portatore sano della totale consapevolezza del senso dell’ineluttabilità di quell’evento, per quel che riguarda me spero unicamente di riuscire a farmi trovare ben vivo e con la minore sofferenza possibile, sia per me che per chi mi vuole bene e mi sarà vicino, ma nulla più, per assurdo sono quasi curioso di avere l’occasione (il più tardi possibile ovviamente) di vivere e perché no godermi quell’attimo, forse perché sarà l’ultimo, in quel caso e di fronte a quell’evento il dolore non ci appartiene, quindi non dobbiamo ne possiamo farcene carico.
Spero di non aver frainteso il senso di questo difficile argomento, comunque le mie intenzioni sono unicamente quelle di evidenziare il mio punto di vista e la mia ricerca di una consapevole accettazione di quello che è imprescindibilmente legato e facente parte della mia vita, anche se ne rappresenta l’evento conclusivo.
Uno dei miei bisbigli alterati dice:
– Io sono la cenere di un grande falò, sento il fuoco ardere, ma so che presto il vento mi disperderà, non ho paura del vento, perché è l’ineluttabile, ma del fuoco che continua ad ardere in me.
Ciaooo neh!
7 novembre 2010 at 8:26 pm
Gli uomini dalla lacrima facile mi hanno sembre appassionato.
La tua curiosità di arrivare a goderti l’attimo finale, certo mi ha spiazzato. C’è evidentemente tanto fuoco che arde dentro di te e credimi si legge sempre nei tuoi scritti, anche in quelli più melanconici.
Non credo però di avere notizie confortanti per te: le morti che mi hanno sfiorato da vicino…non si sono affatto godute l’attimo finale non so se sia fattibile. 🙂
7 novembre 2010 at 4:35 pm
Un temuccio ‘leggero leggero’, questa volta cara amica…
Sia i versi della poesia di Karin che i tuoi pensieri sono approfonditi e meditati, e non mancano di un approccio, o appunto di una ‘visione’, positivi.
Riflettendoci, però, non mi trovo del tutto d’accordo nè con il suo né con il tuo pensiero.
Perché la morte non è un’entità tangibile, un nemico da studiare ed affrontare in campo aperto e ad armi pari, e neanche da aspettare e ‘costruire serenamente’, no, non è possibile.
La morte è privazione, assenza, rinuncia definitiva e totale.
Di fronte ad essa la nostra intera vita sembra perdere tutto il significato che una lunghissima sequenza di attimi presenti sembravano darle.
Abbiamo solo quelli, a disposizione, fino all’ultimo.
Penso che non possiamo fare altro, dunque, che renderli più intensi e ‘vitali’ possibili, e in questo mi viene da contraddire il tuo pensiero, quel pudico e molto comprensibile richiudersi in sè stessi.
Se davvero servisse a risparmiare dolore ai nostri cari, magari anche, ma credo che questo non sia possibile, e che l’unico modo per alleviarlo sia continuare a mostrare fino all’ultimo di credere nella vita.
Un caro saluto.
7 novembre 2010 at 8:45 pm
Condivido il tuo pensiero. In realtà questo articolo ha preso strade differenti a seconda dei commenti.
Il “costuire serenamente” di Karin era riferito alla costruzione di un futuro dopo i 50 anni, dove non essendoci più da costruire una famiglia con dei figli, non resta che godersi a pieno la vita passeggiando in due, invecchiando assieme, e costruendo assieme una strada verso una morte “gioiosa” perchè consapevole.
Tutto questo fino a che ci sarà concesso, coscienti che nessuno di noi sa quando sarà il nostro ultimo giorno.
Io, per fatti strettamente personali, ho perso molta della gioiosa voglia di vivere e il sapere di dover finire oggi o domani la mia vita non mi sconvolgerebbe più di tanto. Certo è che non vorrei far soffrire ulteriormente i miei figli.
Da qui i miei pensieri di morte e di voler concludere la mia vita da sola (il che comprendeva anche un bel suicidio!)… ma posso assicurarti e tranquillizare il resto del pubblico, che le mie analisi sono buone e che al quarto giorno di antibiotico ho messo tutti questi pensieri nefasti in un cassetto, pronta a ritirali certamente fuori al prossimo cedimento fisico.
Ti auguro una buona serata. Un abbraccio.
7 novembre 2010 at 9:43 pm
Mi fa piacere Sol che sei addivenuta a più miti pensieri. Forse il raffreddore con l’antibiotico ha creato una sorta di stato stoporoso con quello che ne consegue, vedi la tematica del post.
Devo ammettere, però, ripensandoci, che di gioioso il concetto di morte ha ben poco. Direi forse “naturale” così come lo è nascere, vivere, dormire, fare l’amore, mangiare come tutti i comportamenti innati dell’uomo.
E’ l’approccio con la morte che è estremamente variabile e personale. Personalmente, data la mia natura, condivido in parte l’idea di Karin di costruire serenamente la morte, ma non si possono progettare gli esiti o i risultati.
Su quali parametri si fondano? Fisici od etici? E perché parlare della morte in modo segreto, come se ci si vergognasse? Perchè Sol hai paura del calore dei tuoi cari? Se dovessi sapere di avere poco tempo da vivere di certo non abbandonerei la mia corazza e la spada. Sono le amiche inseparabili della mia vita, così lo saranno alla mia morte. Ho letto qualche tempo fa un libro che mi regalò una cara amica che ora si è trasferita e consiglio a tutte/i di leggerlo. “I miei martedì col professore” di Mitch Albom narrano la storia dell’amore per la vita in punto di morte di un professore per l’ultima lezione al suo allievo.
7 novembre 2010 at 9:58 pm
Non ho certo paura dell’amore dei miei cari, dolce Carlotta, è che li amo così tanto che non vorrei sconvolgere le loro vite così come lo è stata sconvolta la mia un po’ di tempo fa. Vorrei da mamma alleviarli dal dolore di vedermi soffrire. Probabilmente è un atteggiamento da chioccia … è che, per quanto due siano grandi, le vedo ancora così giovani ed inesperte che il solo pensiero di sobbarcarle delle fatiche di una mia possibile malattia mi spaventa.
Ho faticato così tanto per far sì che crescessero sani psicologicamente … Oh Cielo ragazza mia, va bene così!
12 novembre 2010 at 8:52 pm
Ma sai che parli come mia mamma? Anche lei, che vive e respira attraverso me e mia sorella, ha lo stesso tuo timore, infondato. Anche lei ha seminato bene, come tu hai fatto con le tue figliole e sono fermamente convinta che loro non siano inesperte, anche se giovani, ma anzi affronteranno le dure prove della vita con sapienza e maturità di giudizio, dopo il primo smarrimento iniziale (tranquilla…lo viviamo tutti).
N.B. Grazie per la “ragazza” a nome dei 43. Baci.
12 novembre 2010 at 10:21 pm
” a nome dei quarantatré …” io ne ho (ancora per poco) quarantacinque e parlo come tua mamma … Oh Cielo mi viene da piangere!! 🙂
Immagino la tua mamma come una mamma fantastica! Evviva! Ti abbraccio
8 novembre 2010 at 11:00 am
dipende anche da cosa nasce dopo …
9 novembre 2010 at 12:36 pm
Perdersi amorevolmente nelle cose che sai fare
perdersi amorevolmente nelle cose che vuoi imparare
sorridere, quando l’imprevisto, imprevedibile di casca addosso
immancabilmente ci casca addosso
e questo alle soglie dei cinquant’anni lo sai
grande cosa
non ti sorprende più
qualsiasi la forma della bestia
poi
provare a capovolgere il pensiero (o andare molto in avanti) e vedere come si dimostra dopo esser stato messo con capo in giu
pensa di esser morta
pensa che sei nel momento di morire
devi chiudere
dopo dimmi cosa preferisci
se preferisci arrenderti e lasciar andare
o combattere
e questo vale per ambe due
sia per morire sia per vivere
troppo velocemente la conclusione verso un punto finale
sempre stolto l’uomo a pensare a un punto definito
non funziona cosi
funziona che le cose fluiscono
son sempre in movimento
mai ferme
mai si arriva
i sostantivi che utilizziamo nella lingua servono per dare riferimento ai sensi
vedo un sasso… i sensi mi dicono attento non inciampare
vedo cibo… posso mangiare
vedo l’amore… cosa vedo?
lo vedo con i sensi?
lo vedo con i sostantivi?
o con in verbi?
di che sostanza é?
eppure è!
non è questa né vita né morte… quello del voler definire e inscatolare
conta il passaggio
conta riempire di emozione, sentimento, di fare
come
prima di tutto sopravvivere bene
mangiare sano e poco
bere acqua
dormire
coltivare i sentimenti
e
cercare di imparare cose vere
nuove
sempre nuove e diverse dal conosciuto
11 novembre 2010 at 1:32 pm
“Conta il passaggio” … me lo hai ripetuto anche questa mattina in palestra … ci sto riflettendo
10 novembre 2010 at 10:08 pm
Ho trovato una bella frase di Sabin che ho riportato in un recente post.
http://aquilanonvedente.wordpress.com/2010/11/09/vorrei-insegnare/
Ma un conto è il diritto di morire dignitosamente, altro è chiedere che i nostri cari ci lascino soli.
Occorre imparare ad accompagnare serenamente chi se ne sta andando.
11 novembre 2010 at 1:37 pm
Ho letto il tuo post. Morire dignitosamente dovrebbe essere veramente un dititto di tutti e una parte della medicina lavora certamente per questo.
Accompagnare serenamente chi se ne sta andando è molto difficile, il “serenamente” è difficile.
Io tendo a racccontare ai miei figli dei miei raffreddori solo dopo, quando sono passati, affinchè non si preoccupino “serenamente” per me… guarda un po’ come sono messa bene!
10 novembre 2010 at 10:42 pm
E’ da qualche giorno che giro intorno al tuo post. Solo ora scrivo uno stupidissimo e inutile commento.
Io sono alla soglia dei 50 (- 2…)e, Santa Caterina, sono piccola, impreparata e fragile. Devo ancora decidere che cosa farne di me stessa, non svegliatemi!
11 novembre 2010 at 1:43 pm
Santa Caterina è la protrettrice dei ceramisti … non so se abbia un senso 🙂
Forse dovevi invocare Sant’Hypnos … il Dio del sonno!
24 novembre 2010 at 7:36 pm
Meglio una morte veloce, che non aggiunga lo strazio al dolore ma che riduce o annulla la possibilità di accomiatarsi come si vorrebbe, oppure una morte progressiva, che lasci il tempo di salutarsi ma che moltiplica la sofferenza?
Secondo me non c’è la migliore.
25 novembre 2010 at 1:48 pm
Salutarsi e accomiatarsi da questo mondo? Ma figurati … non ci penserei un attimo: un colpo e via!
25 novembre 2010 at 3:05 pm
D’accordo, ma non mi sono espresso compiutamente: mi riferivo al salutarsi reciproco, non soltanto all’accomiatarsi il morente dal mondo; “strazio” e “sofferenza” li riferivo anche a chi resta. Guardavo all’unione, pronta a spezzarsi, tra il morente e i superstiti.
Stessa determinazione, “un colpo e via”, se tu sei colei che resta e non colei che va?
Oppure ci vuole un tempo per darsi un bacio e per dirsi ciao?
25 novembre 2010 at 3:12 pm
Stessa determinazione. L’ultimo bacio non esiste se non nei film. Solo lì il medico ti annuncia sei mesi di vita e tu hai modo di “goderteli” e pianificarti la morte con chi ti sta vicino. Favole. Nella realtà è un delirio.
…inoltre il tempo non basta mai, resta sempre qualcosa in sospeso, qualcosa di non detto o di non fatto.
25 novembre 2010 at 3:21 pm
Grazie.
E perdonami.
25 novembre 2010 at 3:27 pm
ti bacio